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Zanetti S.p.A.

Modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. 231/2001

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Secondo la Corte di Cassazione (Cass. Pen., 20 dicembre 2005, n. 3615), i concetti di interesse e

vantaggio non vanno intesi come concetto unitario, ma dissociati, essendo palese la distinzione tra quello

che potrebbe essere inteso come un possibile guadagno prefigurato come conseguenza dell’illecito,

rispetto ad un vantaggio chiaramente conseguito grazie all’esito del reato. In tal senso si è pronunciato

anche il Tribunale di Milano (ord. 20 dicembre 2004), secondo cui è sufficiente la sola finalizzazione della

condotta criminosa al perseguimento di una data utilità, a prescindere dal fatto che questa sia

effettivamente conseguita.

La responsabilità dell’ente sussiste non soltanto quando esso ha tratto un vantaggio patrimoniale

immediato dalla commissione del reato, ma anche nell’ipotesi in cui, pur nell’assenza di tale risultato, il

fatto trovi motivazione nell’interesse dell’ente. Il miglioramento della propria posizione sul mercato o

l’occultamento di una situazione di crisi finanziaria, ad es., sono casi che coinvolgono gli interessi dell’ente

senza apportargli però un immediato vantaggio economico. È importante inoltre evidenziare che, qualora il

reato venga commesso da soggetti qualificati di un ente appartenente ad un gruppo, il concetto di

interesse può essere esteso in senso sfavorevole alla società capogruppo. Il Tribunale di Milano (ord. 20

dicembre 2004) ha sancito che l’elemento caratterizzante l’interesse di gruppo sta nel fatto che questo non

si configura come proprio ed esclusivo di uno dei membri del gruppo, ma come comune a tutti i soggetti

che ne fanno parte. Per questo motivo si afferma che l’illecito commesso dalla controllata possa essere

addebitato anche alla controllante, purché la persona fisica che ha commesso il reato – anche a titolo di

concorso – appartenga anche funzionalmente alla stessa.

Quanto ai criteri soggettivi di imputazione del reato all’ente, questi attengono agli strumenti preventivi di cui

lo stesso si è dotato al fine di prevenire la commissione di uno dei reati previsti dal Decreto nell’esercizio

dell’attività di impresa. Il Decreto, infatti, prevede l’esclusione dell’ente dalla responsabilità solo se lo stesso

dimostra:

che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto,

modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire reati della specie di quello

verificatosi;

che il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro

aggiornamento è stato affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di

controllo;

che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte del predetto organismo.

Le condizioni appena elencate devono concorrere congiuntamente affinché la responsabilità dell’ente

possa essere esclusa.

Nonostante il modello funga da causa di non punibilità sia che il reato presupposto sia stato commesso da

un soggetto in posizione apicale, sia che sia stato commesso da un soggetto in posizione subordinata, il

meccanismo previsto dal Decreto in tema di onere della prova è molto più severo per l’ente nel caso in cui